Il bell’Antonio (1960): recensione, trama, cast film (2024)

Il bell’Antonio (1960): recensione, trama, cast film (1)

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Il bell’Antonio

Titolo: Il bell’Antonio

Anno: 1960

Paese: Italia

Genere: drammatico

Casa di Produzione: Cino Del Duca, Arco Film, Lyre Cinematographique

Distribuzione: Cino del Duca, Arco Film

Durata: 105 min

Regia: Mauro Bolognini

Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini,Gino Visentini,Mauro Bolognini

Fotografia: Armando Nannuzzi

Montaggio: Nino Baragli

Musiche: Piero Piccioni

Attori: Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Pierre Brasseur, Rina Morelli, Tomas Milian, Fulvia Mammi, Patrizia Bini, Anna Arena, Maria Luisa Crescenzi, Jole Fierro, Cesarina Gheraldi, Alice Sandro, Guido Celano, Maurizio Conti, Nazzareno D’Aquilio, Anna Glori, Salvatore Fazio, Nino Camarda, Ugo Torrente, Enzo Tiribelli, Rino Giusti, Gina Mattarolo

Il bell’Antonio è un film di genere drammatico diretto da Mauro Bolognini, che, dopo Una notte brava (1959), torna dietro la macchina da presa, l’anno successivo, per dirigere Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale in un’opera intima e malinconica, che indaga i turbamenti di un’anima destinata a fare i conti con il peso dell’amore. La pellicola, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati, reca la firma dello stesso Bolognini, che, per la stesura della sceneggiatura, si avvale della collaborazione di Gino Visentini e Pier Poalo Pasolini. Prodotto da Cino del Duca, Alfredo Bini per Arco Film e dalla Lyre Cinematographique, il lungometraggio ha ricevuto il premio “La Vela d’Oro” al festival di Locarno nel 1960 e, inoltre, è stato inserito nella preziosa lista dei 100 film italiani da salvare.

Trama de Il bell’Antonio

Dopo un periodo trascorso a Roma, Antonio Magnano (Marcello Mastroianni), un giovane aitante insignito della fama d’inguaribile latin lover, torna nella sua terra natìa, a Catania, sollecitato dalle accorate richieste del padre Alfio (Pierre Brasseur). Una volta a casa, Antonio è costretto a sorbirsi la paternale: prossimo ormai ai trent’anni della maturità, è arrivato per lui il momento di sistemarsi e abbandonare la dolce vita da dongiovanni spesa sino a quel momento nella frenetica Capitale. I suoi genitori, non a caso, hanno già in serbo per il suo avvenire un bel matrimonio combinato. L’unione con la giovane Barbara Puglisi (Claudia Cardinale), la figlia del notaio Puglisi (Ugo Torrente), uno degli individui più autorevoli e ricchi di Catania. Nonostante iniziali reticenze e titubanze, Antonio, dopo aver visto la foto di Barbara, in occasione di una festa mondana, subito ne rimane estasiato. Così, per la gioia dei suoi genitori, si decide a sposarla. L’iniziale idillio coniugale della coppia, però, progressivamente si sfalda, a causa dell’emersione di una pesante verità che rischia d’incrinare per sempre le loro vite.

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Recensione de Il bell’Antonio

L’opera filmica di Bolognini, partendo dall’ossatura narrativa del caposaldo letterario di Brancati, porta sul grande schermo la storia di una condanna sentimentale: l’impossibilità di consumare l’amore. Antonio, come confida all’amico, in una delle sequenze narrative più toccanti e coinvolgenti del film, non riesce a tradurre in atto carnale il sentimento puro e assoluto provato per il “gentil sesso”. Questa impotenza amorosa, gli impedisce di vivere appieno le proprie passioni più autentiche, al punto tale da doversi accontentare di facili prestazioni che non gli trasmettono alcun tipo di coinvolgimento e trasporto emotivo. La sua, insomma, è una vita destinata all’incompletezza, perennemente in bilico tra il desiderio di innamorarsi perdutamente e di poter consumare l’affetto, e l’impossibilità, concreta e atroce, di riuscire in questa impresa.

Nessuno è a conoscenza di questo conflitto interiore. La vita di Antonio è costruita sulla base dell’affermazione spudorata di un’identità che non gli appartiene. La sua intera esistenza ruota attorno alla nomea di donnaiolo incallito, incapace di sottrarsi al fascino ammaliante di una bella donna. Ma, in realtà, la sua non è che una debole maschera, cucita e indossata a puntino per preservare agli occhi del mondo l’immagine di un’intoccabile virilità. Perché, nella prospettiva di un assetto sociale intriso di forte machismo, un uomo non può essere considerato tale, se manca di mascolinità. Se non compie i suoi doveri di marito. E il nostro protagonista, dunque, di fronte allo sguardo giudicante di una collettività imbevuta di patriarcale bigottismo, non può (e non deve) sfigurare. Non può non essere un vero uomo, per cui è necessario salvaguardare l’apparenza maschia, piuttosto che far emergere una fragile sostanza.

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Così, per evitare di gettare l’onore della famiglia nello scandalo più totale, Antonio reprime il proprio conflitto, nascondendolo dietro falsi rituali di compiacenza. In altre parole, non fa che indentificarsi nel ruolo che gli altri, dall’esterno, gli hanno attribuito. Non fa che essere ciò che, in particolare, il padre vuole che sia. A questo proposito, è proprio il padre il modello a cui Antonio sente di doversi ispirare. È lui a incarnare, a tutti gli effetti, il simbolo della mascolinità per eccellenza, quella di cui vantarsi in pubblico e in ogni dove, fino allo sfinimento. Alfio, lungi dall’essere un mero personaggio di contorno, rappresenta il contraltare caratteriale del figlio; tutto quel tradizionale sistema di valori patriarcali in cui il protagonista non si riconosce.

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Eppure, nonostante Antonio, nel fondo del suo animo, non si riconosca in questo sistema di valori, comunque è costretto a navigarvi con tutte le scarpe, nonché a subirne gli effetti più disastrosi. Quando infatti si viene a sapere che Barbara, dopo diversi mesi di matrimonio è ancora illibata – situazione grottesca e surreale per l’immagine di un rapporto amoroso dominato dall’elemento virile – Antonio cade nel baratro della vergogna, oltre a divenire lo zimbello di un’opinione pubblica schiava del pettegolezzo. Il senso di inadeguatezza per aver perso la faccia di fronte alla famiglia e alla collettività, si mischia a un dolore muto e tragico, incastonato in uno sguardo cupo e malinconico, quello di un uomo la cui unica “colpa”, se è lecito definirla tale, è quella di amare davvero sua moglie.

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Alla silhouette tormentata e appassionata di Antonio, interpretato da un indimenticabile Marcello Mastroianni, si oppone la presenza eterea, languida ed evanescente di Barbara, Claudia Cardinale, che ben restituisce al suo personaggio le sembianze di una sorta di celestiale «donna angelo» a cui null’altro si può concedere se non la fedele promessa di un affetto platonico. A differenza del suo triste amante, dotato di un alto spessore psicologico e consapevole delle storture del suo tempo, la figlia del Puglisi rimane ferma sulla soglia di un carattere evasivo e superficiale, che riflette il ritratto di una donna perfettamente “istituzionalizzata”, incapace di credere nella forza spirituale dell’amore e oltrepassare, così, il velo superficiale del denaro e delle convenzioni sociali imperanti.

In conclusione

Bolognini realizza un’opera dal tono melodrammatico che – nel pieno di una narrazione che alterna momenti di lirismo a pezzi di brillante umorismo – riesce a inquadrare con efficacia tanto i turbamenti dell’anima quanto le ottusità sociali annidate nel fulcro di un ordine familiare reazionario. Al netto di una storia che rifugge il romantico batticuore da happy ending, rimane impressa nello spettatore la forza di una regia focalizzata sull’esaltazione dei volti, specchio della verità. O meglio, su di un volto in particolare, quello di un ombroso bell’Antonio, per sempre inchiodato alla croce dell’ipocrisia e dell’infelicità sentimentale.

Note positive

  • Umorismo
  • Regia
  • Attori

Note negative

  • /
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